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al testo di Gaia Ortino Moreschini
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RACCONTO...
Mi culla il mare. Nulla culla come il mare. Le onde cullano con ritmo perfetto. Producono una vertigine piacevole che intorpidisce i sensi. Le onde ammaliano come sirene. Un mattino di molti anni fa, era molto presto, vidi un pescatore uscire al largo. In realtà non credo fosse un pescatore. Non aveva reti, solo un grande cappello. Seguii la sua barca fino all'orizzonte. Non lo vidi tornare, ma a sera riconobbi la sua barca, era senza ancoraggio e sbatteva contro il piccolo molo. Dentro lui non c'era, ma c'era il suo cappello.
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Mi sono alzata e seduta chissà quante volte. Ho il numero 63 e hanno chiamato il 58. Accanto a me una donna continua a bere da un piccolo bicchiere bianco di plastica acqua a piccoli sorsi. Ad ogni sorso mi guarda. Un essere in pena che ha bisogno di condivisione per sentirsi vivo, penso. - Se non mi chiamano subito scoppio, finisce che la faccio qui! Mi hanno fatto bere tutta una bottiglietta, pensi che io non la bevo in un giorno intero! - Vorrei spiegarle che forse è per quel motivo che ora si trova lì, che io non la conosco e che ho altri pensieri, ma una non voce mi dice di lasciar perdere. Esco dalla stanza, il corridoio è vuoto, le porte tutte chiuse, la segretaria sparita. Gli ambulatori sono luoghi senza tempo. Fuori potrebbero esserci dinosauri, carrozze, dischi volanti.. sarebbe lo stesso.
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- Allora, usciamo? -
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